DAVVERO? Storia di una riflessione

Storia di una riflessione, nata a pancia in giù, gambe in su sopra un letto, in un giorno di quarantena, di Laura Angeletti Assistente Analista del Comportamento BCaBA® Astuta Ability Academy

 

Domani è la giornata mondiale della consapevolezza sull’autismo. 

Voglio scrivere un post da condividere nei social, per sensibilizzare.

Mi fermo. Il cursore lampeggia. 

Penso: “per sensibilizzare, per sensibilizzare”.

Mi rattristo. 

Ripenso a quel sabato mattina.

C’era il sole. 

Ero seduta  su una panchina, fumavo una sigaretta e facevo due chiacchiere con una mia amica. 

Si avvicina un bambino. 

Avrà avuto 7/8 anni. 

Ci ha guardate, o comunque, così sembrava.

Ha emesso dei suoni, dei versi, diciamo delle parole incomprensibili.

Teneva un foglio con la manina e se lo sventolava davanti agli occhi. 

Gli sorrido. Poi continuò a parlare con la mia amica. 

Si avvicina il padre e con un mezzo sorriso, come se volesse nascondere quel leggero imbarazzo, ci dice: “ragazze non abbiate paura, lui è P., un bambino speciale!”.

Accenno un altro sorriso verso P, poi mi giro verso il suo babbo e replico: “ah io lavoro tutti i giorni con i bambini speciali”. Di nuovo un veloce scambio di sorrisi, sempre più nascosti. Poi, cambio velocemente discorso, forse quell’imbarazzo aveva pervaso anche me. Non lo so.

Scambiamo altre poche parole, parliamo della bella giornata, di quanto si stia bene al sole, e di altre cose circostanziali poi velocemente ci salutiamo, P. È stanco si siede per terra e tira un urletto. “È ora di andare” sospira il padre, sollevando leggermente le spalle. Lascio che il mio sguardo e la mia mente si appoggino sull’immagine di P. e del suo babbo che lo prende per la manina aiutandolo ad alzarsi e piano piano si allontano, camminano verso il vicoletto che poi si affaccia sulla via principale del corso, ormai hanno raggiunto la parte in ombra, sento la voce del padre “dai, dai che è ora di andare a fare la pappa”, credo stia provando a dare un buon motivo a P. per continuare a camminare al posto di buttarsi nuovamente a terra.

Girano l’angolo, non li vedo più.

Mi blocco.

Faccio un respiro. 

Inizio a pensare. 

Ha dovuto davvero “scusarsi”? ha dovuto davvero “giustificarsi”!? 

Di cosa!? Per cosa!? Perché!? 

E io!? Io ho detto davvero “con i bambini speciali”!? 

Stupida, tu lavori con i bambini. Punto.

Oggi allora, durante la mia quarantena,  mi chiedo: nel 2020 dobbiamo ancora sensibilizzare la nostra società, che si reputa così all’avanguardia, sulle realtà delle minoranze, delle diversità!? 

Per quanto ancora dovremmo sensibilizzare la società per far sì che smetta di far sentire a disagio i genitori in fila al supermercato, al ristorante per una pizza, al parco giochi, in spiaggia o all’uscita di scuola!? Per quanto ancora la società si prende il diritto di limitare le vite di questi bambini e delle loro famiglie!? 

La frase “Io non posso” continua ad echeggiare nell’aria.

Devo fermarmi. 

Mi sono resa conto che questo post è diventato eccessivamente troppo lungo.

Apro il pc. Continuo su Word.

Riprendo a scrivere pensando a quel un pomeriggio in cui una mamma, con la quale riesco sempre ad avere bellissimi confronti, che mi portano a riflettere e a migliorarmi, mi disse: “non sono i nostri figli a dover essere educati, è la società”. Grazie Federica. Niente di più vero. 

Ma niente di più triste.

Per quanto ancora la società ha bisogno di essere educata!? 

Davvero, ancora, nel 2020 non riesce a comportarsi e a modificarsi in base ai bisogni di tutti!? 

Davvero, non riesce ad accettare le diversità senza bisogno di etichettarle!? 

Per quanto si avrà bisogno di creare contenitori sociali!? Io sono diverso da te, che sei diverso da lui, che è diverso dall’altro. Punto. E chissenefrega del perchè si è diversi. 

Un momento però, voglio sottolineare che accettare la diversità è fondamentale.

Qualcuno disse “tutti siamo uguali perché tutti siamo diversi”

Accettare la diversità vuoi dire riconoscerla, per conoscerla, per poi agire. 

Riconoscere la diversità vuol dire riconoscerne il valore, vuol dire dargli significato, crearne un contenuto, renderla reale, renderla viva  poterla rendere parola.

Parlarne, per farla Essere. Agire per mantenerla in vita.

L’accettazione senza la “messa in atto” diventa menzogna, bugia, presa in giro. 

Un mettere a tacere. Una privazione illegittimità di esistenza.

Continuo.

Troppo spesso si fa spazio prepotentemente la frase “Eh, magari un giorno…”

Perché ,ancora per molti, le cose ovvie come andarsi a prendere un gelato con il proprio figlio devono essere un lusso!?

Io assieme ad altri professionisti lavoriamo per poter rendere i comportamenti “socialmente accettabili” (e su questo ora non posso soffermarmi).Noi vogliamo che il nostro bambino riesca ad adattarsi il più possibile alla nostra società, lavoriamo ogni giorno insieme alla nostre famiglie per migliorare la loro qualità di vita, perché sappiamo che non può essere lasciato niente al caso e niente al buon senso o all’utopia. La società, però, quando inizia a renderci un po’ meno faticoso tutto questo? La società che cosa sta facendo per noi!? 

Mettere un bollino blu “autism friendly” fuori dalla porta del locale, non è abbastanza. 

Scusate la provocazione ma qui non si tratta, e non può trattarsi, del bollino fuori dalla porta con l’immagine di un musetto peloso con  scritto “tu puoi entrare”.

Non sto sminuendo, è chiaro che sia un’ottima iniziativa, ma sto riflettendo su se sia o meno la strada corretta da percorrere.

Quel bollino non deve esistere. Non può essere un’eccezione, non può essere una voce in più nell’elenco dei servizi dell’hotel. Non può essere paragonato alla presenza di una rete wirless o di non so che cosa. Come non deve esistere la possibilità di entrare in un ristorante e imbattersi in un bagno non adatto per una persona in sedia a rotelle, come non deve esistere la possibilità di dover aspettare un autobus successivo perché nel precedente mancava, o non funzionava, la rampa. 

Così non si fa altro che alimentare il “non agire”, la grande menzogna, il patetico buonismo.

Ora rifletto sulla scuola. 

La scuola, un’istituzione destinata all’educazione, luogo in cui vengono insegnate le prime abilità sociali, la palestra della socializzazione, il primo contesto di incontro e confronto con l’altro diverso da me.

Allora mi chiedo, perchè si fa sempre una grande fatica per poter apportare piccole modifiche? Perché da professionista devo entrare in punta di piedi e sperare che quell’insegnante che entra a far parte della nostra équipe di lavoro ci sostenga? Perché molti insegnanti oggi non attuano attività a distanza anche per i miei bambini!? 

Davvero al concerto di Natale o di fine anno molti dei miei bambini non possono partecipare perché l’unica cosa che si è scelto di fare è cantare!? Beh voi ora direte che è ovvio, è un concerto di natale! E no, ovvio non è perché molti dei nostri bambini non parlano.

E’ davvero così difficile pensare di proporre altro oltre le 10 canzoni cantate in piedi come soldatini e “guai chi si muove”? Davvero!?????

Davvero diventiamo vittime dell’ovvio? 

Mi chiedo, tu insegnante, davvero non sei in grado di creare attività didattiche alternative in caso si presenti qualche tipo di bisogno? E a te, genitore di bambino normotipico, chiedo, davvero questa cosa non spaventa? Davvero affidi l’istruzione di tuo faglio a insegnanti che non sanno fare altro che riportare in maniera quasi amorfa quelle nozioni vuote presenti nei libri? Insegnanti che non sanno gestire la diversità, in una classe in cui anche tuo figlio è diverso. Insegnanti che non sanno adattarsi al contesto che le circonda per 5 ore al giorno o più per 9 mesi filati.

Ricordatevi che vostro figlio, che magari è lento a scrivere, a cui magari non gli piacciono i numeri, o che è sempre “distratto”, o che magari ha un QI al di sopra della media della sua classe, anche lui a quelle stesse insegnanti.

Ricordati genitore che quelle insegnanti se mai avranno bisogno di concludere il programma, saranno pronte a lasciare indietro anche tuo figlio. 

No, certo, grazie al cielo ho incontrato insegnanti formidabili, ma di nuovo, davvero devono essere l’eccezione?

Perché ancora deve essere tutto una lotta!? Perché ancora avete bisogno di essere sensibilizzati!? 

E soprattutto perché continuate a dire “poverini”, ricadendo però sempre ed inesorabilmente nel silenzio, silenzio assordante che uccide l’esistenza. Non ne parlo, non esiste, posso non agire. E così ci legittimiamo.

Ecco come, in un giorno di quarantena, i pensieri hanno più tempo per scorrere e sembra che il cursore, a questo punto, non voglia fermarsi, anzi corre, per cercare di stare dietro a tutti i mie pensieri, vorrebbe continuare a imprimere lettere sullo schermo per continuare a dare spazio a ciò che spesso non viene detto, a ciò che spesso non viene pensato. 

Mi costringo a fermarmi. Ci vorrebbe molto più che qualche riga per parlare dell’immensità della diversità e di come esserne veramente consapevoli.

E poi… sono già tre pagine di Microsoft Word.

Sperando di avervi aperto lo spazio e rubato un po’ di tempo per qualche vostra riflessione, vi auguro una buona quarantena.

#ANDRA’TUTTOBENE.

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